
Al nostro piccolo GEORGE

Quel mattino di aprile,
in un giaciglio improvvisato circondato dal profumo di tanti fiorellini colorati, mamma gatta mise al mondo cinque minuscoli fagottini, che iniziarono subito a strillare per la prima poppata.









Era stata dura perché la micina non aveva una casetta tutta sua, e nessuno si era mai occupato di lei, nemmeno quando il tempo era brutto e faceva tanto freddo.
C'era solo quell'uomo dalla lunga barba bianca, che abitava in fondo alla strada in una bellissima fattoria, che ogni giorno le lasciava qualche bocconcino sulla finestra della sua cucina, e lei era felice perché sapeva che aveva un cuore buono.









































Ma spesso il suo cane, grande e grosso com'era, iniziava ad abbaiare e a rincorrere la nostra micetta, finché lei, con il cuore in gola, si arrampicava sull'enorme ciliegio che troneggiava in giardino, e aspettava paziente e affamata finché quel bestione si dimenticava di lei e andava per la sua strada.











Da lassù poteva osservare ogni cosa: c'erano ovunque pulcini pigolanti, tanti puntini gialli sempre attaccati alla loro mamma, come pure le paperette che nuotavano in fila indiana nello stagno che l'uomo buono dalla barba bianca aveva creato appositamente per loro.
Ma si vedevano anche caprette e agnellini, puledri e vitellini: erano tutti una grande famiglia!

















Lei, invece, era rimasta sola, dopo che una ragazza cattiva l'aveva strappata dalla sua mamma, insieme agli altri fratellini, li aveva messi in una scatola e abbandonati al loro destino.
Da quel giorno la vita era diventata dura: nessuna casetta calda, nessun luogo sicuro dove ricevere un po' di cibo e una carezza.

















Ma quel giorno di aprile, quando il sole era già alto nel cielo azzurro, lei si sentiva finalmente felice: era riuscita, da sola, a mettere al mondo cinque creaturine che erano diventate la sua nuova famiglia.
Erano così carini!
Li aveva accolti e lavati con tanto amore, facendo molta attenzione perché erano davvero piccini, e ora li stava osservando mentre erano indaffarati a succhiare il latte con gli occhietti chiusi.
C'erano tre femminucce e due maschietti.
Le principessine erano proprio identiche: bianche candide come la neve e con tante macchioline colorate che le rendevano irresistibili.









La primogenita, quella più grossa e più mangiona, aveva un cappellino di pelo rosso in testa e la codina tutta nera.
La seconda sembrava indossasse gli stivaletti neri su tutte e quattro le zampine, mentre la terza, tanto minuta e miagolina, portava con disinvoltura un baschetto nero e muoveva in continuazione la sua codina rossa.










E poi c'erano i due giovanotti: il primo, un tipetto tosto tutto nero con una stellina bianca sul petto, sembrava volesse avere il latte solo per sé, tant'era ingordo e prepotente.
E poi c'era lui, l'ultimo nato, il più piccino e indifeso della nidiata.










Questo dolce micino era l'unico ad essere tutto rosso come la sua mamma, ed era così timido e timoroso da venir sempre calpestato dai suoi fratellini, ben più grossi e spavaldi di lui.
Mamma gatta si rese subito conto che lui era un micetto speciale, e che avrebbe dovuto proteggerlo dalle cattiverie del mondo: era così delicato e piccino...









Ma il suo cuore era già immenso come quello della sua mamma.
Così scelse subito il nome per lui, dato che era l'unico ad avere più bisogno di attenzioni; per gli altri quattro nomi, ci avrebbe pensato il giorno dopo, quando sarebbe stata meno stanca.

















Le venne subito in mente il nome del bimbo che aveva cercato di convincere Rebecca, l'antipatica babysitter che si occupava di lui tutti i pomeriggi, a non portare via i suoi bei micetti in quella scatola, perché lui si era già affezionato e voleva crescerli con tanto amore.







Invece lei, insensibile com'era, dopo avergli rifilato un sonoro ceffone e averlo fatto piangere, caricò quelle creature innocenti in auto e scomparve, lasciandolo solo con il suo dolore.








Mamma gatta non dimenticò mai gli occhi disperati di quel bambino che non riuscì a salvare i suoi gattini dalla cattiveria di quella ragazza: si chiamava George, ed era un bellissimo bimbo lentigginoso di otto anni, dai capelli rossi e gli occhi verdi.
































Così decise di chiamare il suo neonato, George, perché era rosso come lui e si augurava pure che crescesse con lo stesso buon cuore di quel ragazzino, che aveva cercato con tutte le sue forze di salvare lei e i suoi fratellini.

Passarono i giorni tra mille difficoltà. Era sempre più difficile procurare il cibo per quei cinque piccini che crescevano a vista d'occhio, perché lei era sempre più stanca e loro sempre più esigenti.



















Solo il piccolo George si accorse, un giorno, che la sua mamma non stava bene, perché era sempre più magra e più debole: il poco cibo che riusciva a procurarsi, lo distribuiva unicamente ai suoi piccoli, e a lei non rimaneva mai nulla.















I bocconcini che le lasciava il buon uomo, ormai non bastavano più perché c'erano troppe bocche da sfamare, e il suo cane, sempre più cattivo, le impediva molte volte di raggiungere la finestra dove c'era il suo cibo.





Così George, preoccupato per la salute della sua mamma, cominciò a rifiutare la sua razione di pappa per lasciarla a lei, così debole e stanca da non reggersi più sulle zampine.
Gli altri quattro miciotti, invece, erano sempre più affamati e, nonostante diventassero ogni giorno sempre più grossi, non rinunciarono mai allamloro parte.











Passarono i giorni e arrivò l'inverno, con il freddo e la neve, così mamma gatta decise di trovare rifugio nella stalla dove vivevano tutti gli animali di quel vecchio dall'Animo gentile e dal cuore grande: era felice e pure tranquilla perché era riuscita a proteggere i suoi piccoli dal rigore dell'inverno trovando un nido caldo in compagnia di tanti animaletti.












Ma la mancanza di cibo, destinato solo ai suoi micetti, unita alla grande stanchezza, la fece ammalare.
Non riusciva più ad alzarsi ormai dal suo giaciglio perché le forze l'avevano abbandonata, mentre i gattini, già grandicelli, reclamavano, strillando, sempre più cibo.




















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Al nostro piccolo GEORGE

Quel mattino di aprile,
in un giaciglio improvvisato circondato dal profumo di tanti fiorellini colorati, mamma gatta mise al mondo cinque minuscoli fagottini, che iniziarono subito a strillare per la prima poppata.









Era stata dura perché la micina non aveva una casetta tutta sua, e nessuno si era mai occupato di lei, nemmeno quando il tempo era brutto e faceva tanto freddo.
C'era solo quell'uomo dalla lunga barba bianca, che abitava in fondo alla strada in una bellissima fattoria, che ogni giorno le lasciava qualche bocconcino sulla finestra della sua cucina, e lei era felice perché sapeva che aveva un cuore buono.









































Ma spesso il suo cane, grande e grosso com'era, iniziava ad abbaiare e a rincorrere la nostra micetta, finché lei, con il cuore in gola, si arrampicava sull'enorme ciliegio che troneggiava in giardino, e aspettava paziente e affamata finché quel bestione si dimenticava di lei e andava per la sua strada.
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