Emiliano, grazie per le suggestive illustrazioni,
so che le hai disegnate con il cuore
Giordano, grazie per aver dato voce alle parole,
so che registrare è stato un pochino faticoso
Camillo, Arturo, Riccardo, Piero Ugo,
spero che vi divertirete nell'ascolto o nella lettura

Mi presento
Ciao!
Io sono una mamma di nome Luisa.
Io sono la sua bimba di nome Annalisa.
Io sono un nonno di nome Enea.
Io sono suo nipote di nome Andrea.
Io sono un bambino di nome Ismail.
Io sono il suo vicino di nome Bilail.
Io sono uno studente di nome Tian.
Io sono il suo compagno di nome Param.
Io sono il mondo di nome Intero.
Io sono la scuola del mondo intero.
Una favola di oggi
C'era una volta una scuola che non voleva più andare a scuola.
Basta, è ora di cambiare, pensava fra sé e sé, sono stufa di aprire i cancelli ogni mattina. Per una settimana voglio starmene serena.
E così, di punto in bianco, un freddo giorno di febbraio convocò docenti, bidelli e dirigenti e ordinò: "Da domani se ne stiano a casa tutti quanti!".
"Come?! Da domani maestre e bambini possono rimanere nei loro lettini?!”.
"Certamente - rispose la scuola - una settimana vola! Ognuno giochi con nonni e zii, con mamma e papà, guardi anche la tv a testa in giù,
mangi caucciù, faccia insomma quello che gli piace di più".
Ai bambini non parve vero.
E di certo non fecero mistero che da sempre nutrivano la speranza
di una settimana di vacanza.
Anche per la scuola fu gran festa e che gioia sentire il silenzio dei corridoi
e il profumo delle aule pulite.
I banchi vuoti, poveretti, si riposarono dal peso di astucci,
libri e quadernetti; e le sedie, poverine, lasciarono ferme e dritte
le loro gambine.
Tanto beata fu quella settimana beata che la domenica sera la scuola pensò:
“No, domani non tornerò, resterò chiusa ancora per un po'!”.
I giorni passarono, dapprima velocemente,
poi in verità sempre più lentamente.
A poco a poco anche la gioia passò, e la noia arrivò.
Ciascuno cercava nello zaino qualche compito da fare.
Ma, niente da fare, i compiti erano finiti!
La scuola cercava nelle aule nuove lezioni, magari piccole note
o maestre arrabbiate.
Ma, niente, le maestre erano tutte sparite! Che tristezza!
D'improvviso capì, e capirono anche i bambini: la scuola era fatta per loro
e loro erano fatti per andare a scuola. Insieme crescevano forti, allegri,
sì alle volte anche tristi e stanchi, ma solo uniti così sarebbero diventati uomini grandi e grandi uomini.
E allora, direte voi, giunti a questo punto, come finì la storia
della scuola che non voleva più andare a scuola?
Beh, non finì come tutte le favole.
Finì come la più bella delle storie vere più belle,
perché in fondo, le maestre per i loro alunni ci saranno sempre
e torneranno presto a scuola.
Quando? Ancora non si sa, ma, bambini, pazientate e non abbiate paura.
Alla fine è scritto e, questo sì, si sa,
tutti quanti vivremo insieme felici e contenti.
Ma che... La tristezza
Ma cos'è questa tristezza che assale grandi e piccini?
Chi la conosce? Chi la vuole? Amica è di chi?
Arriva all'improvviso e di tutti prende il cuore e il sorriso.
Farfalline di paura nel pancino, occhietti spenti,
lacrimucce che fanno capolino sulle guance di ogni bambino.
Poi un giorno per incanto, come è venuta se ne va.
Quando tornerà? Chi lo sa.
Per ora, urrà!
Tanta tristezza è mutata in un poco di felicità.
Il Signor G
C'era una volta un signore che se ne stava sempre tutto raggomitolato così.
La gente lo chiamava Signor G.
Nella sua vita ammetteva solo parole che iniziassero e contenessero la lettera g,
ghiro, aggeggio, giro, e conosceva solo persone che portavano un nome che iniziava
con G, Giulio, Giorgio, Giovanni.

Il Signor G viveva, di conseguenza, senza compagnia,
nel suo ristretto mondo d G maiuscole e di g minuscole.
Di giorno giocava al giro-girotondo, non andava a scuola,
ma solo in giostra, mangiava gelati, la notte non dormiva
perché nella notte non c'erano g.
Naturalmente non aveva amici, solo un gattino che girava gaio
nel grande giardino.
Il Signor G sospettava che da qualche parte del globo esistesse qualcosa
che si chiamasse, che so, amicizia, ma non l'aveva mai cercata perché,
era inutile, non voleva nella sua giornata parole che non contenessero almeno una g!
Accadde però, un giorno di gennaio, che un giornalista negligente
scrisse c anziché g.
Il Signor G, nel leggere il giornale, si spaventò non poco
e il sangue gli si gelò.
All'improvviso nulla aveva
più senso: il gioco era diventato cioco, il gatto catto,
perfino l'adorato gelato
divenne celato.
Sul momento, colto dallo sgomento, non ci pensò,
ma in seguito si ricordò
di quella parolina...che la c.. amiCizia. La cercò.

Poi con coraggio cercò amici, compagni, coccole.
La sua esistenza si popolò di tante belle lettere,
di consonanti e di vocali.
Ventisei in tutto!
Mescolandole insieme cercò pensieri, sentimenti, passioni.
Capì che con la g poteva avere la gioia,
ma con tutto l'alfabeto avrebbe ottenuto
l'amore, la bellezza, la completezza.
Finalmente il Signor G non si sentì più solo e non ebbe più paura.
Da allora accolse il mondo intero.
Donò e ricevette affetto e visse appagato
fino alla fine dei suoi giorni.
E venne anche la Pasqua
Che bello, fra qualche giorno sarà vacanza!
Sì, beh, mah...è già da un po'
che c'è vacanza.
Nooo questa vacanza
è sbagliata,
è una pausa forzata.
Giusta vacanza verrà
e sarà quando Gesù,
Gesù risorgerà.
Allora sììì ogni uomo riderà
e grande festa si farà.

Il vuoto
C'è un vuoto che ha lasciato un amico, che se ne è andato.
Se ne è andato all'improvviso, per un futile motivo.
Ma non capisco, perché mi ha lasciato il suo vuoto?
Avrebbe dovuto restare, o portare con sé anche il vuoto.
Mah! Ma chi giocava con me...un vuoto...senza amico...
Mi ha detto così - che era finita - e mi ha augurato buona vita.
Adesso che è passato un po' di tempo
ho aggiunto un secondo vuoto al primo: non ricordo più il suo volto.
So che eravamo felici perché i suoi due vuoti, uniti tutti insieme,
fanno un vuoto grande che fatico a sopportare.
Come posso fare?
Solo, con il vuoto del mio amico, non riesco più a giocare.
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